In base all’art. 28 della Costituzione italiana “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Questa norma costituisce il fondamento costituzionale della responsabilità civile della P.A. per l’illegittimo esercizio dei propri poteri, ovvero per gli atti compiuti dai funzionari e dipendenti della P.A. in violazione dei diritti di terzi. Con il codice del processo amministrativo è stata definitivamente sancita la possibilità do proporre, in caso di cattivo esercizio dell’azione amministrativa, un’azione risarcitoria autonoma, cioè svincolata da quella volta ad ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo presso il Giudice amministrativo. L’art. 30 del d.lgs.104/2010 prevede infatti che l’azione di risarcimento del danno è proposta nel termine di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato, ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva immediatamente da questo. Il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione è dunque molto breve, se si considera quello di prescrizione quinquennale previsto per gli illeciti contrattuali. Il privato può quindi ottenere tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo per il danno da provvedimento, ma solo se riesce a dimostrare l’illegittimità del provvedimento stesso, la colpa della pubblica amministrazione e la spettanza del bene della vita che gli è stato ingiustamente negato. La quantificazione del danno viene operata con riferimento alle norme del codice civile e, segnatamente, l’art. 1223, ai sensi del quale il risarcimento deve essere integrale, ovvero corrispondente al danno emergente ed al lucro cessante con possibilità – ove la quantificazione risulti particolarmente difficile – di ricorrere all’art. 1226, cioè alla possibilità che sia il giudice a stabilire la quantificazione in via equitativa.