Il danno morale è quel danno che il soggetto patisce interiormente come conseguenza in un fatto. In particolare, il danno morale può essere collegato o meno a un danno biologico, ma è possibile che si presenti anche slegato da un danno fisico (biologico), in maniera indipendente. In questa guida vedremo come fare per calcolare il danno morale e i criteri stabiliti dalla legge per stabilire la cifra del giusto risarcimento per questo tipo di danno. Per il calcolo, è bene sottolinearlo, occorre che sia riconosciuto un soggetto responsabile di aver provocato il danno morale con un comportamento illecito. Le norme giuridiche devono quindi trovare applicazione nella fattispecie in esame per poter dire che sussiste un danno morale ed il conseguente diritto al risarcimento. Vedremo, infine, qual è la procedura per la richiesta del danno e quali sono tutti i tipi di danno morale che sono tutelati dalla legge.
Il Codice Civile descrive il danno morale come quella sofferenza patita dal soggetto in seguito ad un evento o un comportamento che procura il danno (art. 2059 C.C.). Un esempio di danno morale è una lesione fisica che lascia il soggetto invalido o anche la perdita di una persona cara a seguito di un’errata diagnosi. Il danno morale rientra in quella categoria di danno non patrimoniale che comprende anche il danno biologico e il danno esistenziale. Al contrario, esiste anche la categoria del danno patrimoniale che comprende il mancato guadagno e il lucro cessante, due tipi di danno che impattano sul reddito e sul patrimonio del soggetto danneggiato. Con la sentenza 16197/2015, la Cassazione ha stabilito l’esistenza autonoma del danno morale, non collegata a quello biologico. In particolare, il danno morale e il danno biologico vanno liquidati autonomamente, stabilisce la Cassazione. Il caso in esame prevedeva un risarcimento danni per un ragazzo che ha subito un incidente stradale che lo ha costretto al 90% di invalidità, ma anche un risarcimento per danno morale alla famiglia del ragazzo. Il danno morale, inizialmente, era riconosciuto solo in favore delle vittime di un illecito penale. La Cassazione ha però cancellato questo vincolo del danno morale, che era previsto dal Codice Civile, rendendo il danno morale riconosciuto anche per illeciti civili. Il danno morale può essere o meno associato al danno biologico, ma va valutato dal giudice indipendentemente dalla capacità del soggetto di produrre reddito.
Quando un soggetto subisce un danno biologico superiore ai 3 punti di invalidità, gli viene riconosciuto anche il danno morale, quindi non va provata la sua esistenza. In particolare, la sentenza n.517/2006 della Cassazione ha stabilito che il calcolo del danno morale sfugge ad una valutazione precisa, e quindi sta al giudice quantificare la somma per il risarcimento. Nella sua valutazione, il giudice deve tener conto delle sofferenze che il soggetto ha patito, della gravità dell’illecito e di tutti gli altri elementi che compongono la fattispecie. La Cassazione ha anche stabilito che, per qualsiasi tipo di danno non patrimoniale, l’onere della prova spetta alla vittima, che avrà il compito di dimostrare l’esistenza del fatto o comportamento illecito. Questo vale anche nel caso di lesione di diritti costituzionalmente garantiti, come ad esempio il diritto alla libertà personale. Quindi occorre dimostrare il nesso causale tra comportamento lesivo e sofferenza patita, comprendendo anche le caratteristiche di gravità e non futilità dell’evento.
Il Codice Civile identifica anche il danno esistenziale all’interno della categoria dei danni non patrimoniali. Il danno esistenziale ha una sua ragione d’essere autonoma e differente sia dal danno morale che dal danno biologico. La sentenza n.7766/2016 della Cassazione ha affermato, infatti, che il danno esistenziale non è ascrivibile e non può essere compresa all’interno del danno biologico. Il danno morale, nello specifico, è legato ad un sentire interiore ma qui sta la differenza tra danno morale e danno esistenziale. Il danno esistenziale è la percezione che ha il soggetto in relazione agli altri soggetti, quindi la discriminante è la componente relazionale del danno. Nel danno morale, infatti, troviamo la componente della sofferenza relativa al sé, mentre il danno esistenziale fa riferimento alla sofferenza relativa alle relazioni con gli altri. Sulla base di questa distinzione, il danno esistenziale ha una sua autonomia di risarcimento, visto che è anche possibile trovarsi di fronte ad un danno esistenziale e non a un danno morale. La sentenza più recente n.2788 del 31 gennaio 2019 della Cassazione ha affermato, al contrario, che il danno morale non viene assorbito all’interno del danno esistenziale. Entrambe le voci non sono sovrapponibili e vanno considerate distintamente. In questo caso si avrà la liquidazione del danno morale ma anche del danno esistenziale, e l’importo del ristoro può aumentare se si presentano conseguenze eccezionali. Le conseguenze devono però incidere sulla componente dinamico-relazionale del soggetto danneggiato.
Al giorno d’oggi una notizia pubblicata su un social network, un commento su una chat o su un gruppo Facebook può raggiungere un numero elevatissimo di persone, se il contenuto diventa, come si dice in gergo, virale. Se il contenuto va ad offendere un altro soggetto, e lo fa raggiungendo un gran numero di persone, allora siamo di fronte a un caso di diffamazione a mezzo internet. Secondo l’articolo 595 del codice penale, infatti, i requisiti per identificare il reato di diffamazione sono l’offesa della reputazione altrui e la comunicazione con più persone. La diffamazione si configura quindi come reato, ma può avere anche degli aspetti civilistici che è possibile far valere in sede giudiziaria. In particolare, la sentenza 26972/2008 delle Sezioni Unite della Cassazione si è espressa sulla risarcibilità del danno morale ex art. 2059 C.C., affermando che il danno non patrimoniale è risarcibile soltanto nei casi previsti dalla legge: 1) Le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso, ovvero un fatto illecito integrante reato 2) Il caso in cui la risarcibilità, anche se non è prevista da norme specifiche, può essere ammessa sulla base delle interpretazioni orientate costituzionalmente dell’art. 2059 C.C., purché il fatto illecito ha leso un diritto alla persona tutelato dalla legge. A questo si aggiunge anche la sentenza 233/2003 della Corte Costituzionale, che ha affermato come il risarcimento del danno patrimoniale non richiede che la responsabilità del danneggiante sia accertata in un procedimento penale. La stessa sentenza afferma che non è possibile identificare il danno non patrimoniale solo col danno morale soggettivo, ma bisogna intenderlo come una più ampia categoria che comprende al suo interno ogni lesione riferita a valori della persona che sono costituzionalmente garantiti ma che fanno conseguire pregiudizi che non sono suscettibili di valutazione economica.
La remissione della querela è un istituto giuridico disciplinato dall’art. 152 e successivi del Codice Penale. Nello specifico, con questo atto il soggetto manifesta la propria volontà di non voler perseguire ulteriormente la persona che ha procurato il danno. Prima di poter godere della remissione della querela, il danneggiato deve poter attivato il proprio diritto al risarcimento del danno sulla base dell’ex art. 340 C.P.P. contro un reato di cui è stato vittima. In questo caso, la remissione della querela è il diritto di ripensamento che la legge offre al soggetto danneggiato: costui può scegliere di non intervenire contro un altro soggetto, fatto salvo il caso in cui la legge specifica che bisogna procedere con una denuncia d’ufficio per un reato penale.
Un soggetto che ha subito un processo su una base di una calunnia, ovvero un’accusa infondata, ha il diritto a richiedere il risarcimento del danno patrimoniale, ovvero il danno emergente, come le spese sostenute per portare avanti la sua difesa nel processo penale. Insieme a questo, il soggetto calunniato può richiedere anche il risarcimento del danno non patrimoniale, ovvero del danno biologico, morale ed esistenziale. Il danneggiato dovrà costituirsi quindi parte civile e farne esplicita richiesta al giudice. Una volta che il colpevole della calunnia sarà condannato, il soggetto danneggiato potrà fare richiesta di risarcimento del danno. Sarà il giudice a decidere la quantificazione dei danni sulla base: • Della portata delle accuse; • Della diffusione che ha avuto la falsa notizia di reato; • Del danno d’immagine che la vittima ha subito. Il giudice potrà anche condannare il colpevole al pagamento provvisorio di una somma liquidata immediatamente, prima di arrivare alla quantificazione del danno arrecato. Nella quantificazione del risarcimento del danno morale per ingiusta denuncia conterà anche la durata del processo e l’eventuale periodo passato in detenzione dal danneggiato, o comunque il periodo in cui la sua libertà è stata ridotta. Per il calcolo del risarcimento del danno morale il giudice farà riferimento alle tabelle milanesi di cui vi abbiamo già parlato nei paragrafi precedenti. Il reato di calunnia si prescrive infine in 7 anni dal compimento del fatto illecito, ovvero dalla falsa accusa di reato. Il termine inizia a decorrere dal momento in cui il giudice viene a conoscenza della falsa denuncia: questo è il momento in cui il danneggiato inizia a subire gli effetti della calunnia.