Il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale avviene quando un soggetto viene danneggiato da un’altra persona che non ha eseguito una determinata prestazione, prevista da un contratto. Il contratto, che ha forza di legge, è un obbligo per le parti che lo hanno sottoscritto. Se una delle parti disattende quanto scritto nel contratto, si ha inadempimento contrattuale. Vediamo adesso come si applica il risarcimento del danno nel caso di inadempimento contrattuale, come fare per portare avanti l’annullamento del contratto e il caso in cui si può procedere alla risoluzione del contratto stesso.
Prima di vedere come si ottiene il risarcimento del danno per inadempimento, occorre esaminare cosa si intende per presupposto dell’inadempimento contrattuale. Il presupposto principale viene rappresentato dall’esistenza di un’obbligazione tra le parti, ovvero quel vincolo che lega due soggetti attraverso una determinata prestazione. La prestazione può essere di dare, di fare o di non fare, a seconda dei casi. La giurisprudenza prevede due tipi principali di inadempimento contrattuale: totale, quando la prestazione non viene eseguita; parziale, quando la prestazione viene eseguita ma in modo diverso da quanto previsto dall’obbligazione (adempimento inesatto). Sono diversi i criteri che è possibile utilizzare per valutare con esattezza se la prestazione è stata eseguita secondo quanto determinato dall’obbligazione, ovvero: • Criterio qualitativo: in questo caso il debitore fornisce alla controparte un bene con caratteristiche diverse da quelle previste dal contratto (ad esempio un pallone da calcio e non da basket). • Criterio quantitativo: questo è il caso in cui un debitore paga o consegna al creditore meno di quanto previsto dall’obbligazione. • Criterio cronologico: la prestazione (ad esempio, la consegna di un bene) avviene in ritardo rispetto a quanto concordato nel contratto. • Criterio territoriale: la prestazione viene effettivamente eseguita, ma in luogo diverso da quello concordato. Sulla base di questi criteri è possibile valutare se si è in presenza o meno di inadempimento contrattuale.
Come abbiamo visto, si ha inadempimento contrattuale quando una prestazione, prevista da un contratto, non si verifica nel luogo, nel tempo o secondo le modalità stabilite dallo stesso contratto. Un esempio è il mancato pagamento da parte di un’assicurazione del danno procurato da un suo cliente assicurato con RCA. In questo caso, l’assicurazione sarà inadempiente, come spieghiamo nella guida al risarcimento del danno per incidente stradale. In queste situazioni, la parte danneggiata può attivarsi con una serie di azioni che sono messe a disposizione dalla legge a sua tutela. Il creditore, infatti, come stabilisce l’ex art. 1218 C.C., può agire in giudizio e chiedere il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. In questo caso viene applicata quella che è chiamata responsabilità contrattuale, ovvero l’obbligo di diligenza del debitore, obbligo che tutela il creditore. La posizione del debitore, però, può essere di due tipi. Nel caso in cui la mancata prestazione dipenda da cause riconducibili al debitore, o conseguenze di cause che il debitore avrebbe potuto evitare ma non ha evitato, la sua posizione sarà imputabile. Nel secondo caso, invece, si parlerà di cause non imputabili al debitore, ovvero quando la mancata prestazione non è riconducibile alla buona diligenza del debitore. L’istituto della responsabilità contrattuale, quindi, pone anche il debitore in condizione di poter rimediare agli errori. Se il debitore dimostra di aver agito con diligenza e di aver rispettato le obbligazioni previste dal contratto, non sarà tenuto al risarcimento del danno. La diligenza contrattuale, in particolare, viene descritta dall’art. 1176 C.C. in: • Diligenza del buon padre di famiglia: questo è l’aspetto più generico della diligenza contrattuale, e si applica alla maggior parte dei contratti; • Diligenza qualificata: in questo caso si fa riferimento ai contratti dei professionisti, che prevedono un particolare tipo di diligenza che deve essere valutata in relazione all’attività svolta (ad esempio, l’attività dei medici).
Quando una prestazione non viene effettuata, il creditore ha a disposizione una serie di strumenti che gli permettono di tutelarsi. Uno di questi è l’atto di citazione per inadempimento contrattuale. L’atto di citazione per inadempimento contrattuale prevede che il creditore porti di fronte un giudice il debitore, ovvero colui che non ha posto in essere la prestazione, o una parte di questa. Nell’atto di citazione per inadempimento contrattuale, il creditore deve manifestare o meno il suo interesse nel perseguire l’adempimento previsto dal contratto. In questo caso, la legge prevede l’utilizzo di una serie di strumenti che rendono chiara la volontà del creditore. Questi strumenti sono: l’azione di esatto adempimento, l’azione di risoluzione del contratto, l’azione di risarcimento del danno.
Questa è l’azione che manifesta la volontà massima del creditore nei confronti dell’adempimento. Utilizzando l’azione di esatto adempimento, infatti, il creditore cita in giudizio il debitore chiedendogli di rispettare l’obbligazione originaria prevista dal contratto e quindi di portare a termine la prestazione. In questo caso, vi sono due presupposti necessari per cui la richiesta di esatto adempimento venga accolta. Il primo presupposto è il mancato adempimento della prestazione, totale o parziale, che deve esserci perchè il debitore la porti a termine. Il secondo presupposto è l’imputabilità al debitore, ovvero che il soggetto non abbia rispettato le obbligazioni per sua colpa, avendo applicato poca diligenza, come descritto nel precedente paragrafo. Se il giudice accoglie la richiesta di esatto adempimento, il debitore sarà obbligato nuovamente a portare a termine la prestazione prevista.
L’atto di risoluzione del contratto è scelto dal creditore nel caso in cui non abbia più interesse a portare avanti la prestazione in caso di inadempimento grave. La risoluzione del contratto prevede lo scioglimento del contratto, quindi la perdita di efficacia delle obbligazioni previste. Le conseguenze previste dall’istituto giuridico della risoluzione del contratto sono diverse. In primo luogo, il creditore che ha chiesto la risoluzione del contratto non può tornare indietro e chiedere l’adempimento della prestazione. È possibile, invece, il contrario, cioè chiedere la risoluzione nel caso in cui il processo sia stato portato avanti per chiedere l’esatto adempimento descritto nel paragrafo precedente. Questo si applica anche nei gradi successivi di giudizio, come in appello, e serve per tutelare il creditore, che può chiedere di sciogliere il contratto se il debitore risulta ancora inadempiente, come stabilito dall’art. 1453 C.C. Lo stesso articolo prevede che, dalla data pronunciata per la risoluzione del contratto, il debitore non potrà più adempiere. Questo significa che, anche volendo, il debitore non potrà più cercare di riparare agli errori commessi, se il contratto non ha più efficacia.
Il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale non dipende dalle due azioni viste prima, ovvero l’esatto adempimento e la risoluzione del contratto, ma può anche essere proposta come un’azione a se stante. Cosa significa questo? Che se il giudice respinge la domanda di risoluzione del contratto (o di esatto adempimento) non è detto che venga respinta anche la domanda di risarcimento del danno. Il giudice, ad esempio, può respingere una richiesta di risoluzione perché non ritiene grave l’inadempimento del debitore. Il presupposto dell’azione di risarcimento è invece indipendente dalla gravità dell’inadempimento, e dipende solo dall’esistenza dell’inadempimento stesso. Questo significa che se una delle parti non ha rispettato le obbligazioni previste dal contratto nei tempi e nei modi, allora è possibile chiedere il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. Come dispongono le sentenze della Cassazione n. 17562/2005 e n. 25351/2014, se l’atto di citazione contiene sia la richiesta di risoluzione del contratto sia la richiesta di risarcimento del danno, allora il danno da risarcire sarà pari alla differenza tra le conseguenze economiche nel caso di esatta esecuzione del contratto (anche nei tempi) e le conseguenze economiche dell’esecuzione tardiva e imprecisa. In questo caso vengono contate anche le spese che il creditore è costretto ad affrontare per rimediare alla situazione di mancato adempimento. Per quanto riguarda invece la liquidazione del danno, il risarcimento avviene nel riferendosi al momento della liquidazione stessa, e non al momento in cui il contratto è stato violato, come stabilisce la sentenza n. 3940/2016 della Cassazione.
Vi sono casi, descritti dalla legge, in cui è possibile procedere con l’annullamento del contratto. La legge descrive con precisione quattro casi in cui è possibile annullare il contratto, a prescindere dall’inadempimento contrattuale di una delle due parti che lo hanno sottoscritto. Eccole descritte: • Secondo l’art. 1425 C.C., il contratto è annullabile se viene stipulato nel momento in cui una delle due parti è incapace di contrattare. Un esempio è un contratto stipulato tra due parti, una delle quali minorenne. In questo caso è possibile procedere con l’annullamento del contratto. • Il contratto può essere annullato se il consenso è stato dato per errore. Il consenso è essenziale e permette il riconoscimento del contratto all’altra parte che stipula il contratto, come afferma l’art. 1428 C.C. • Secondo l’art. 1434 C.C., il contratto è annullabile se il consenso dato da una delle due parti è estorto con violenza, anche se questa viene esercitata da un terzo. • Infine, il contratto può essere annullato quando il consenso viene estorto con dolo. Secondo l’art. 1439 C.C., il dolo prevede situazioni in cui uno dei contraenti inganna l’altra parte: esiste il dolo, quindi, quando è dimostrabile che una delle due parti non avrebbe prestato il consenso senza essere ingannata. Il contratto annullabile continua a produrre tutti gli effetti di un contratto valido fin quando viene dimostrata e fatta valere l’azione di annullamento.
Un particolare caso di risarcimento del danno è quello relativo alla violazione del consenso informato da parte di un medico che non informa adeguatamente un paziente. Questo comportamento del medico può causare diversi tipi di danno. L’art. 32 della Costituzione, comma 2, stabilisce che tutti hanno il diritto di ricevere informazioni esaustive sulla natura del percorso terapeutico a cui devono essere sottoposti in caso di malattia, comprese le eventuali terapie alternative esistenti. Le informazioni devono essere esaustive per permettere al paziente di poter scegliere in autonomia e libertà, nonché con consapevolezza, la scelta che ritiene più opportuna. Il medico ha dunque l’obbligo di fornire informazioni dettagliate al paziente, per rendere il paziente consapevole del suo percorso medico/chirurgico, degli effetti, della sua estensione nel tempo, dei rischi che corre, delle conseguenze e dei risultati che è possibile conseguire. La violazione del medico che non informa correttamente il paziente causa due diversi tipi di danno, come stabilito dalla sentenza n. 28985 del 2019 della Corte di Cassazione: • Un danno alla salute: si verifica quando il paziente, che ha l’obbligo dell’onere probatorio, avrebbe potuto rifiutare l’intervento (e quindi non subirne le conseguenze) se correttamente informato; • Un danno al diritto all’autodeterminazione: l’informazione inesatta porta il paziente a subire un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, che è diverso dalla lesione del diritto alla salute. Le ipotesi di risarcimento descritte dalla Corte di Cassazione sono dunque le seguenti: • La prima ipotesi riguarda l’informazione che viene omessa o è insufficiente che ha portato ad un intervento che ha causato la lesione del danno alla salute. Questo è da ricondursi alla condotta colposa del medico, ma è questo il caso in cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi all’intervento nelle stesse condizioni in cui alla fine è stato operato. In questo caso il risarcimento sarà relativo al danno alla salute subito dal paziente, nelle sue componenti morale e relazionale. • Il secondo scenario è quello che vede una omessa o insufficiente informazione che ha causato un intervento a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi, se correttamente informato. In questo caso il risarcimento del danno sarà relativo al diritto alla salute e anche a quello dell’autodeterminazione del paziente. • Terza ipotesi: l’informazione omessa è relativa a un intervento che ha causato un danno alla salute (anche aggravamento delle condizioni preesistenti) ma la condotta del medico non è stata colposa e il paziente avrebbe comunque scelto di non sottoporsi all’intervento. In questo caso la Cassazione prevede un risarcimento in via equitativa per violazione del diritto all’autodeterminazione, mentre la lesione della salute, che viene esaminata con relazione causale alla condotta, verrà valutata sulla base della differenza tra danno biologico che è conseguenza dell’intervento e stato patologico preesistente che rendeva invalido il soggetto. • Il quarto scenario è quello di un’informazione omessa da parte del medico in relazione ad un intervento che non ha causato un danno alla salute del paziente, paziente che avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento. In questo caso non sarà dovuto nessun tipo di risarcimento. • Infine, l’ultimo caso è quello di omissione o inadeguatezza diagnostica che non ha causato un danno alla salute del paziente ma che non gli ha permesso di accedere ad ulteriori accertamenti più approfonditi. In questo caso il paziente ha diritto al risarcimento del danno per lesione di diritto all’autodeterminazione se riesce a provare che dall’omessa o inadeguata informazione gli siano derivati danni, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza oggettiva. Come abbiamo ribadito, l’onere probatorio spetta al paziente, che dovrà dimostrare che il suo diritto all’autodeterminazione sia stato leso e con le conseguenze pregiudizievoli che derivano da una causalità giuridica, come afferma l’ex art. 1223 C.C.