Il risarcimento del danno per infortunio sul lavoro è un tema delicato che necessita di un doveroso approfondimento. Per infortunio sul lavoro non si intende, come vedremo, il solo infortunio che avviene nel luogo deputato allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma rientra in questa casistica anche l’infortunio sul lavoro in itinere, ovvero subito dal soggetto durante il tragitto casa-lavoro, come vedremo. Esamineremo anche la responsabilità del datore di lavoro e dell’INAIL, andando ad analizzare i criteri che stabiliscono il diritto del risarcimento del danno e della determinazione della cifra del risarcimento. La responsabilità, infatti, viene divisa tra il datore di lavoro e l’INAIL, ovvero l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro. Vedremo, quindi, cosa si intende per indennizzo INAIL, che di solito corrisponde alla cifra che l’istituto paga al soggetto che ha subito il danno, ma che in alcuni casi potrebbe non coprire eventuali tipi di danni subiti.
Secondo quanto stabilito dall’INAIL, un infortunio sul lavoro è un incidente che è coperto dall’assicurazione obbligatoria avvenuto “per causa violenta in occasione del lavoro”. L’incidente deve determinare la morte, l’inabilità permanente, assoluta o temporanea per più di tre giorni. Dal punto di vista della causa, questa deve essere esterna, intensa e deve aver danneggiato l’integrità psicofisica del lavoratore. Le cause esterne possono essere sostanze tossiche o nocive per l’organismo, sforzi effettuati dal lavoratore, microrganismi come i batteri, parassiti. Quello che conta è che deve essere presente un rapporto di causalità tra il lavoro svolto e l’incidente. L’indennizzo INAIL non copre invece tutti i danni derivanti dall’abuso di sostanze alcoliche, psicofarmaci, dall’assunzione di stupefacenti e allucinogeni per uso non terapeutico, e in caso di danni relativi alla mancanza di patente del conducente, se questo si trova alla guida non autorizzata di un veicolo. Nel caso di negligenza del lavoratore, il risarcimento del danno resta dovuto a meno che il datore di lavoro non dimostri di aver utilizzato tutti gli strumenti di tutela e prevenzione a sua disposizione.
L’infortunio sul lavoro in itinere è regolamentato dal decreto legislativo 38/2000, ed in particolare dall’articolo 12 che riconosce tre casi di infortunio in itinere: 1 – infortunio occorso nel tragitto casa-lavoro; 2 – infortunio occorso nel tragitto tra due luoghi di lavoro; 3 – infortunio occorso nel tragitto dal luogo di lavoro al luogo per la pausa pranzo. In questi casi è possibile richiedere il risarcimento danni per infortunio sul lavoro in itinere, ma occorre tenere presenti anche le cause di esclusione, che renderebbero nulla la richiesta di risarcimento. Il soggetto perde il diritto al risarcimento se segue un itinerario diverso da quello che risulta essere il più breve e il più diretto per raggiungere il posto di lavoro, oppure se ha compiuto una deviazione ingiustificata dal percorso che avrebbe dovuto seguire. La deviazione dal tragitto compiuta per accompagnare i figli a scuola è comunque oggetto di indennizzo. Il diritto al risarcimento del danno viene coperto dall’INAIL anche nel caso in cui sia necessario deviare dal tragitto abituale a causa di una direttiva data dal datore di lavoro, a causa di una deviazione/interruzione presente sul tragitto, o per cause di forza maggiore, come un guasto meccanico all’auto. Anche una breve sosta è concessa, purchè questa non alteri le condizioni di rischio. L’indennizzo per infortunio sul lavoro in itinere è poi riconosciuto anche nel caso in cui il soggetto abbia scelto un mezzo privato, ma solo se questa decisione è strettamente necessaria, quindi se i mezzi pubblici che collegano casa e lavoro non esistono o se l’orario non coincide. In caso di infortunio in itinere in bicicletta, l’INAIL pagherà l’indennizzo solo se l’infortunio è avvenuto su pista ciclabile o zona a traffico limitato o interdetta. Infine, occorre sottolineare che L’INAIL copre l’indennizzo solo nel caso in cui il danno biologico riportato sia superiore al 6%. L’indennizzo INAIL viene pagato sulla base di tre scaglioni previsti dall’INAIL stessa: • Fino al 5% di danno, nessun risarcimento o franchigia; • Dal 6% al 15% di danno, risarcimento in forma capitale sulla base delle tabelle INAIL; • Dal 16% al 100%, risarcimento sotto forma di rendita vitalizia calcolata sulla base delle tabelle INAIL. La rendita non è estendibile agli eredi.
Il danno differenziale è il danno che è risarcibile al lavoratore. Viene chiamato differenziale perché è appunto la differenza tra quanto versato dall’INAIL a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro o malattia professionale, e quanto è possibile farsi risarcire dal datore di lavoro in sede civilistica. L’INAIL risarcisce una parte del danno sulla base del verificarsi dell’infortunio, ma questo non è il solo presupposto: il danno è anche un illecito che si verifica a seguito di comportamenti colposi da parte del datore di lavoro o di un terzo. Proprio per questo il soggetto danneggiato può chiedere il danno differenziale al datore di lavoro, anche se percepisce già un indennizzo INAIL. Spetta però al lavoratore danneggiato l’onere della prova di aver subito un danno ulteriore rispetto a quanto gli è stato riconosciuto dall’assicuratore sociale. Il risarcimento del danno differenziale viene riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione, ovvero la tutela al diritto alla salute, ed ha come obiettivo il risarcimento del danno nella misura in cui questo si sia verificato. Al contrario, l’indennizzo INAIL ha una funzione sociale, ovvero quella di garantire mezzi adeguati al lavoratore che ha subito un infortunio sul lavoro o, come vedremo più avanti, una malattia professionale.
La prima cosa da fare per ottenere il risarcimento danni per infortunio sul lavoro è avvisare subito il proprio datore di lavoro, che è obbligato a mandare il proprio lavoratore in pronto soccorso. Qui il lavoratore riceverà dal medico un certificato medico con la diagnosi e il numero di giorni di invalidità, temporanea o assoluta. Il certificato va riconsegnato al datore di lavoro che entro due giorni deve procedere con la denuncia o comunicazione d’infortunio presso l’INAIL: la denuncia va fatta solo nel caso di infortuni che non sono guaribili entro tre giorni, quello dell’evento escluso, mentre per infortuni con prognosi da un giorno o più, basta la comunicazione di infortunio. La mancata denuncia da parte del datore di lavoro è passibile di multa, con importo da 1290€ a 7745€.
Una volta che il datore di lavoro ha effettuato la denuncia, bisogna capire a quanto ammonta l’indennizzo INAIL. La legge impone che i primi quattro giorni di infortunio siano a carico del datore di lavoro. Il primo giorno è previsto al 100% della retribuzione, mentre i successivi sono retribuiti al 60%, sabati e domeniche compresi. Dal quinto giorno in poi sarà invece l’INAIL a coprire le spese attraverso l’indennizzo INAIL. L’importo dell’indennizzo INAIL è stabilito come segue: • Dal 5° al 90° giorno: 60% della retribuzione • Dal 91° giorno in poi: 75% della retribuzione L’indennità INAIL per infortunio sul lavoro viene pagata subito, e il lavoratore la ritroverà insieme alla prima busta paga utile, dove sarà disponibile con l’anticipo del datore di lavoro, oppure con intervento diretto dell’INAIL. L’INAIL copre anche gli eventuali costi sostenuti per esami diagnostici o spese mediche, quando prescritte dall’INAIL stessa. Il lavoratore, poi, è esentato dal pagamento del ticket sanitario durante tutto il periodo dell’infortunio per tutte le prescrizioni che derivano dall’INAIL o dal medico curante. Nel caso di invalidità o danno biologico riferito a una specifica patologia, l’esenzione sarà poi estesa.
Vi sono casi in cui l’indennizzo INAIL sia cumulabile con altri redditi percepiti dal lavoratore. Nello specifico, l’indennizzo INAIL può essere cumulato con: • Assegno per congedo matrimoniale: in questo caso l’importo del congedo è dato dalla differenza tra retribuzione e integrazione INAIL. • Assegno per il nucleo familiare, per un massimo di 3 mesi. L’indennizzo INAIL non è invece cumulabile con la Cassa Integrazione Guadagni, l’indennità percepita dall’INPS per malattia, l’indennità economica sanatoriale.
Se l’infortunio sul lavoro causa al lavoratore un danno biologico sotto forma di invalidità permanente, l’indennizzo INAIL verrà erogato con una cifra proporzionata al danno e in modi diversi. L’indennizzo INAIL in caso di danno biologico può essere infatti una rendita o un capitale che il lavoratore percepisce dall’Istituto, cifre che non sono soggette a tassazione Irpef. L’indennizzo può essere anche percepito in forma areddituale, o variare sulla base dell’età o del peggioramento/miglioramento della malattia. La legislazione prevede che, in caso di danno biologico compreso tra il 6% e il 15%, il lavoratore abbia diritto al pagamento di un indennizzo INAIL, mentre se il danno va dal 16% in su, il lavoratore dovrà percepire una rendita diretta. Le cifre dell’indennizzo INAIL e della rendita sono calcolate attraverso le tabelle INAIL molto precise che tengono in considerazione il tipo di menomazione e danno biologico subiti. Oltre 400 voci sono messe a disposizione del lavoratore che ha subito l’infortunio per capire se il suo caso rientra tra quelli già esaminati dall’Istituto. Oltre a queste, sono presenti anche le tabelle dei coefficienti, per il calcolo del danno per le conseguenze patrimoniali. Abbiamo approfondito il calcolo del risarcimento per danno biologico nella guida dedicata.
La rivalsa INAIL, o credito di rivalsa, è assimilabile al diritto risarcitorio del soggetto infortunato. L’istituto, quindi, può agire contro il datore del lavoro del danneggiato, sanzionandolo per il complessivo danno civilistico e funzionale con l’obiettivo di recuperare quanto erogato a favore della persona che ha subito l’infortunio sul lavoro. La legge di bilancio 2019 ha modificato il DPR n.1124/65, affermando che: “Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che, a qualsiasi titolo e indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”. Bisogna stabilire quindi quali sono i pregiudizi oggetto di indennizzo e quali, invece, ne restano fuori. In questo caso bisogna determinare i danni che non sono inclusi nella copertura assicurativa dell’INAIL che vanno pre-dedotti e riconosciuti all’infortunato. Gli altri tipi di danno, oggetto d’indennizzo, andranno a comporre la voce della cifra risarcitoria che va confrontata con l’importo totale erogato dall’INAIL.
La malattia professionale è quella malattia che il lavoratore contrae a causa delle condizioni di lavoro e/o del contatto con specifici materiali che danno adito all’insorgere della malattia. La malattia professionale si configura come un danno biologico, e quindi dà diritto al lavoratore ad un risarcimento da parte dell’INAIL. La sentenza n. 20769/2017 della Cassazione ha confermato, inoltre, che qualora la malattia fosse presente nelle tabelle ministeriali del DPR n. 336/1994, spetta all’INAIL fornire la prova contraria. Oltre la malattia, anche la causa deve essere contenuta nelle tabelle ministeriali. In questo caso si applica dunque la “presunzione di eziologia professionale” della patologia sofferta, e il lavoratore avrà diritto al risarcimento da parte dell’INAIL. Sarà l’Istituto che dovrà dimostrare un diverso fattore patogeno che ha causato l’insorgere della malattia, negando il rapporto causa-effetto con le condizioni di lavoro del soggetto. Le malattie non tabellate, invece, sono tutte quelle patologie che non sono contenute nelle tabelle ministeriali ma che potrebbero essere state causate dall’attività lavorative del soggetto. In questo caso spetta al lavoratore provare l’esistenza del rapporto causa-effetto tra condizioni lavorative e insorgere della malattia. Sarà il giudice, in primo luogo, a stabilire se la patologia è tabellare o no: dopo la decisione del giudice, quindi, il processo proseguirà in due modi diversi.
In caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore ha diritto a un risarcimento. Il recente decreto Dignità è intervenuto modificando la norma che prevede l’indennità risarcitoria per il lavoratore. In precedenza, l’indennità era pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 4 mensilità e per un massimo di 24. Il decreto Dignità eleva la soglia: adesso, quindi, il risarcimento sarà pari ad almeno 6 mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, e per un massimo di 36. Il diritto alla reintegrazione del lavoratore, invece, si applica nel caso di licenziamenti nulli e discriminatori, e a specifici casi di licenziamento disciplinare giustificato. Nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o di licenziamento per giusta causa, se in giudizio viene dimostrata l’insussistenza del fatto che viene contestato al lavoratore, allora sarà possibile il reintegro. Spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza del licenziamento. Se manca questo presupposto, quindi se il datore di lavoro non riesce a dimostrarlo, il giudice lo condannerà al reintegro del lavoratore e al pagamento dell’indennità risarcitoria che viene calcolata utilizzando la retribuzione utilizzata per il calcolo del TFR, dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione. Il datore di lavoro è condannato anche al pagamento dei contributi previdenziali, dal giorno del licenziamento fino a quello del reintegro effettivo.